Il racconto di Francesco Cianconi della ripetizione invernale, effettuata assieme a Carlo Minnozzi il 10 gennaio 2014, della Via Alletto-Consiglio sullo Spigolo Nord-Est del Monte Bove Nord (2112m), Monti Sibillini.
“Non importa quale montagna si salga: lassù si guarderà sempre più lontano.” (Reinhard Karl)
Il Monte Bove Nord (2.112 m.) fa parte della catena centro-settentrionale del Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Ad est si affaccia sulla selvaggia Val di Panico e ad Ovest sulla Valle dell’Ussita e sulle frazioni dell’omonimo paese. I versanti Nord ed Est, caratterizzati prevalentemente da calcare massiccio di tipo dolomitico, rappresentano la parete rocciosa più vasta dell’intero gruppo montuoso; con un’altezza che raggiunge i 750 metri e una larghezza complessiva di circa 2 Km, offrono una gran varietà di itinerari alpinistici di ogni grado di difficoltà e lunghezza.
All’altezza dello Spigolo Nord-Est la muraglia rocciosa raggiunge il suo massimo sviluppo. Viene salita per la prima volta nel 1955 dalla cordata Franco Alletto- Paolo Consiglio, realizzando una linea che, con grande logica ed esemplare maestria, vince i problemi del labirintico spigolo sfruttandone i punti deboli. Ciò che ne venne fuori fu un itinerario di 850 metri di sviluppo, attraverso camini, fessure, diedri e qualche passaggio in placca, intervallato, verso la metà, da una grande cengia inclinata e che si conclude percorrendo l’aerea cresta sommitale che conduce alla vetta.
“La Alletto-Consiglio non una tipica nord insomma, dove si utilizzano sistematicamente piccozze e ramponi, ma un’alternanza di ripidi scivoli e speroni rocciosi di cui le difficoltà estive non rendono l’idea dell’effettiva difficoltà riscontrata nella stagione invenale”. (cit. Carlo)
La prima salita invernale della “Via Alletto-Consiglio” fu portata a termine in due giorni (18- 19 dicembre 1971) dalla cordata Vagniluca-Kamenicki di Perugia, in un clima di grande competizione che vide, nell’arco di soli sei giorni, ben 5 cordate contendersi l’ambita “prima”. Alpinisti provenienti dall’Aquila (Alessandri-Leone 19-20/12), Macerata (Mainini-Corsalini 19- 20/12), Ascoli e Jesi (Calibani-Tosti e Alessandrini-Saladini 22-23/12) fecero la prima e la seconda ripetizione. L’ultima notizia certa di una ripetizione invernale integrale della via risale al 2003, ad opera del grande Stefano Zafka.
Per quanto mi riguarda, tutto è nato per voler realizzare il desiderio di un compleanno speciale. Nell’estate precedente, durante uno dei giretti verticali sulle pareti del Gran Gendarme, Carlo mi dice che per i suoi cinquant’anni vorrebbe regalarsi lo Spigolo Nord-Est in invernale. Con il mio solito ottimismo non ci penso due volte e accetto l’idea. Una “scommessa” con me stesso, non priva di una sorta di timore reverenziale, non avendo mai, prima d’ora, percorso itinerari alpinistici così lunghi e complessi. In autunno facciamo una rapida ricognizione (in 5 ore) e decidiamo che si può fare: tentare la più lunga via dei Monti Sibillini nello stile più difficile, in invernale.
E’ il 10 gennaio, sono le 5 del mattino e ci svegliamo nel comodo e caldo bungalow del Quercione di Ussita. La giornata si presenta accettabile come previsto, giusto un po’ di nebbia che, mi dico, se ne andrà. Poco dopo le 6 abbiamo parcheggiato e iniziamo il cammino, con calma, da Calcara di Ussita verso lo Spigolo. Alle 8, superato l’ultimo tratto di ripido bosco e il ghiaione che portano al caratteristico pilastro staccato dove attacca la via, ci si organizza, e alle 8.30 Carletto da inizio alle danze.
Ci scaldiamo rapidamente e raggiungiamo la base del terzo tiro. Tocca a me: un bel muretto verticale fessurato, che piega poi verso sinistra e raggiunge lo spigolo. Ramponi ai piedi (che terremo per tutta la salita e la discesa) è fin da subito una bella sveglia e fa capire di cosa si parlerà da qui alle prossime lunghe ore… e via, sezione aerea sullo spigolo, piccolo anfiteatro, caminetto, altra placchetta, altre cengette rotte e via dicendo, in breve siamo al cengione mediano, rispettando la nostra tabella di marcia.
E’ mezzogiorno in punto e abbiamo già percorso il cengione dove, infine, si piega a sinistra per andare all’attacco dell’ottavo tiro. La vista si affaccia sul piccolo abitato di Casali di Ussita e sulla spettacolare immensità del vuoto sottostante. A destra La Pera, caratteristica guglia monolitica visibile anche da terra. Molto meno rassicurante è invece la vista di ciò che ci aspetta. Purtroppo la situazione non è propriamente come ce l’aspettavamo: nonostante l’inverno povero di neve, vista l’esposizione della linea, si pensava che nei camini ci fosse più neve e ghiaccio, e invece sono prevalentemente secchi. Ragioniamo. In ogni caso la possibilità di salire con le scarpette ai piedi era esclusa per il problema che si sarebbe presentato in uscita dalle sezioni verticali, dove abbiamo comunque trovato un po’ di neve, ghiaccio, verglas. Quindi non avevamo alternativa: ramponi ai piedi per tutta la salita per garantirci una progressione con un minimo di sicurezza. A questo punto aumenta la determinazione, e ci convinciamo di provarci sul serio, fino in fondo, fino in cima.
Le sezioni di L8 e L9 sembrano davvero divertenti e ingaggiose, quindi riparto per la prima, piazzo un buon friend e salgo senza pensarci troppo, ma sempre con la necessaria delicatezza: placchetta tecnica, fessura svasa poi la linea continua, e la lunghezza successiva si infila in un profondo e verticale camino gocciolante di cui avrà ragione Carlo. Questi due tiri ci portano via un po’ di tempo per salirli in libera…e “regalano” a Carlo un paio di emozioni forti, scintille di vita che rimarranno li per sempre. E a me un po’ di apprensione.
Nei pochi momenti fermi scambiamo due chiacchiere, per sincerarci che tutto vada bene. Abbiamo quasi la sensazione che tutto vada meglio adesso. Da qui in poi si spinge a tutta!
Superato il “caminaccio del masso incastrato” ci si riaffaccia sul filo dello Spigolo, risalendo uno scivolo di neve dura verso sinistra e sostando su un’alberello vicino a un ometto. Mentre percorro lo scivolo “velocemente ma con cautela”, vedo che la neve è sufficientemente trasformata e quindi portante, ma ad ogni passo “suona” di un suono che non mi piace per niente… inoltre in qualche punto è anche staccata dalla roccia e non vedere possibilità di proteggere non mi rassicura affatto. Raggiungo l’alberello e recupero Carlo, che arriva, e lo scivolo è ancora li: “si tiene!”.
Giriamo intorno allo spigolo lungo un’esile cengetta sospesa sul vuoto surreale di una forra a Est, e raggiungiamo la partenza dell’undicesimo tiro. Da qua si ha un panorama mozzafiato sulla Val di Panico e sull’ombra del Bove che velocemente incede sul Pizzo Tre Vescovi e il Pizzo Berro. C’è da muoversi verso l’alto, e alla svelta, verso la fine delle difficoltà, quelle tecniche almeno. Da qui la linea si impenna di nuovo e il tiro mi regala un bel diedro-fessura verticale dall’uscita non banale su un altro scivolo sospeso. Ci si ritrova in un piccolo anfiteatro roccioso abbastanza comodo, a far sicura su un altro alberello che vien voglia di fermarsi qua: davanti agli occhi un grottino squadrato che sembra fatto apposta per passare la notte, sospesi tra la terra e il cielo. Carlo arriva e rapido riparte. Scala con sicurezza la placchetta affianco al bivacco e sparisce su un’altro sistema di cenge inclinate che portano alla base dell’ultimo camino; c’è da uscire dall’ultima sezione difficile prima che sia completamente notte.
Lo raggiungo e nel frattempo guardo verso l’alto. Non mi ricordo com’è fatto il camino di uscita e sono ansioso di riscoprirlo, ma vedo solo la prima parte del prossimo tiro.
Salgo un facile zoccolo che porta ad un primo diedro-camino verticale che conduce su un piccolo ripiano; ecco, da qui lo vedo, l’unico chiodo e l’aspetto cupo e slavato di quest’ultimo camino. Sembra liscio. Mi convinco e ci entro dentro, il passaggio con lo zaino non è comodo ma mi sforzo e riesco a moschettonare il chiodo, nero come la pece, ma a suo modo rassicurante. Le pareti mi chiudono dentro e, cercando di trovare un punto dove proteggere, mi muovo verso l’alto e vedo una fessura che sembra da friend. Il camino è liscio davvero, con le scarpette si sale in aderenza ma in questa situazione non è facile individuare i piccoli appoggi per le punte dei ramponi e soprattutto scegliere quelli che non si rompono. Comincio a “gonfiarmi” quindi continuo a muovermi verso la fessura. Ci arrivo e mi metto in posizione; sono scomodo e i polpacci chiedono pietà, prendo il friend, respiro di nuovo, lo rimetto sull’imbraco e riprendo in mano le picche; devo uscire. Salgo fino ad affacciarmi sullo scivolo successivo, piazzo bene le picche e mi fermo un attimo a pensare quanto dista l’ultima protezione e cosa ho sotto; smetto subito di pensarci e mi ribalto fuori, a questo punto ci ho preso gusto e scalo dritto in direzione della sosta senza aggirare la placchetta fessurata che ho di fronte.
La sosta non è comoda, ma è su due bei chiodi. Guardo giu mentre recupero Carlo che sta scalando il buio del camino e mi rendo conto che le luci dell’abitato di Casali si sono accese. Dall’altra parte l’ombra del Bove non c’è più, il sole è sceso già da un po’. Sono le 17.15, Carletto tira fuori al volo la frontale e parte sul quattordicesimo tiro, si torna sullo spigolo. Da questo punto in poi sarà Carlo a tenere il comando delle operazioni, a tirare la corda fino in cima; conosce bene i passaggi della cresta finale, è notte e, visto che lo vedo carico, per me è una garanzia! “Alé!…” penso “sulla cresta, mi ricordo che ‘si corre’ con poco siamo fuori”.
Beh, pensiero sbagliato. Nonostante le sezioni tecniche non siano molte, la cresta del Bove in versione “by night” si presenta come un dedalo di passaggi tra risalti rocciosi, scivoli e piccole cenge, che coperte di una buona quantità di neve possono riservare sorprese ad ogni passo. Siamo saliti anche di quota. Sopra la neve varia da poca a tanta, ventata, ghiacciata, un po’ di tutto insomma. Carlo si muove deciso nonostante la luce limitata della frontale e scova ogni raro chiodo sulle placche scure. Io mi limito a raggiungerlo e a stargli dietro il più velocemente possibile e percorriamo diversi tratti in conserva.
Arrivati ad un certo punto la cresta finisce contro l’ennesimo pilastro; guardo su, adesso si vede anche la luna, infatti è l’inizio del risalto roccioso sommitale. Inizialmente lo si aggira a destra, “saltando” un profondo intaglio e percorrendo una piccolissima cengia sospesa nel buio che porta alla base dell’ultima placchetta tecnica e da questa a un comodo forcellino. Mentre Carlo si avvia verso l’ultima parte della cresta spengo di nuovo la luce; mi rendo conto che da quando se n’è andato il sole i secondi, i minuti e le ore hanno assunto la stessa dimensione, cioè alcuna… e, nonostante la luna piena, la luce che abbiamo è davvero poca. Siamo a nord, in ombra. Ma la Luna si percepisce forte adesso, e vedo la cima del Bove. La cresta finisce e attraversiamo a destra verso il “sentiero estivo”, che adesso è un enorme imbuto di ghiaccio, e usciamo in cima. Sono le 20.30, il cielo è muto e la Luna fa quella giusta luce che ti fermeresti li, a guardare. Abbraccio Carlo e gli dico solo “Grazie!”
Scendiamo in direzione degli Spalti, giù verso il fondo della valle e poi fino a Frontignano. Arriviamo alla macchina alle 23 circa, dopo un viaggio di 17 ore di cui 12 passate sulle rocce dei nostri amati Monti Sibillini.
Grazie a Carlo Minnozzi, che non poteva scegliere un regalo migliore per il suo compleanno, per il cuore, l’entusiasmo e le grandi capacità in questi ambienti.
Grazie alla Montagna, che ci ha voluto bene una volta ancora, grazie a chi in qualche modo ci ha tenuto compagnia. Infine grazie a me stesso!
di Francesco Cianconi
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